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lunedì 10 agosto 2009

Cavaliere

Solingo errante vagoli pe verdi
boschi, pace non trovi
e sollievo il canto de la Natura
più non ti reca al nobil glacial
petto, celato dall'argenteo usbergo:
qual tormento il cuor tuo angoscia e lacera?

Pe' l'alti principi copioso sangue
donasti, l'animo tüo immolasti,
qual serto trionfale ti cinse il capo?
Il petto tuo mostra mortal ferita,
sì ch'il biàn destrier di rosso si tinge
e il bel volto s'è torto pe' l'affanni.

L'ultima fiera battaglia t'attende,
di batter l'infedel
brami, quivi l'ultimo Sole miri
ora ch'il tuo nemico dinnanzi vedi,
l'amata spada al fianco tieni stretta,
di percoter gli scudi
il fèr tuo usa solente;
in su 'l colle osservi
l'alti stendardi veleggiar al gelido
vento, chiediti allor "se vincitor
sarò, sarà fors'essa l'ultima pugna
ch'il cor mio reggerà?
E s'io sconfitto cadrò nè la polve,
chi mai il volto mïo serberà nel petto?"
Col l'animo in tempesta
scaglierà allor il destrier ne' la mischia,
ch'il cielo abbia pietà
e che l'Averno t'accolga nel caldo
e gentil grembo etero.

Seni

Come düe formose
piccole gocce ambrate
di purissimo miele
i seni della musa,
fonti da cui poter
succhïar l'ambrosia
della voluttà dolce.
Le vergini colline
con le dita toccar
e il delicato suolo
con le labbra baciar,
il cuore ardente brama;
che la terra conceda
sospiri e piaceri:
la pace dell'animo,
il bisogno del corpo.

Eco

Forse troppo gentile co' le compagne,
proteggevi le ninfe che Giove
libidinoso prendeva nascosto
e con veloci parole loquaci
la regina tenevi,
mentre Giove il suo seme
spargeva tra le ninfe;

Povera che qüando la regina,
iraconda et gelosa,
ti maledì per l'aeterno tempo:
per l'intera tua vita disgraziata
più non potrai parlare,
ma solo ripeter l'ultimi verbi
che l'altri pronunciavan,
come potevi dir ch'eri in amore?
Il crudele Narciso
il süo amor ti negò;
sola et disperata vagoli ancora,
nelle caverne dopo il rifïuto
ti celi rossa in volto,
le tue membra or son divenute roccie,
ma la tüa anima ancor vive eterna,
i tui lamenti riveston l'etere
mentre il cuore tuo è messo a tacere.

Dolce Eco, sempre sarai maledetta,
la tua bontà ti condannò per sempre,
il tuo cüore sempre sarà muto
nello tüo dolere.

Dafne

O sventurata Dafne
ché fuggivi dal tuo divin amante?
Forse amar lo potevi,
ma Amor offeso scagliò dardi opposti:
al cüor tuo di pïombo,
al Febeo petto d'oro.

Perché così celermente fuggivi
dallo divo solare?
Più a lui non importava
de' la gloria per Pitone ucciso,
più non pensava al carro di fïamma,
fiamme d'ardor or seguiva fervente,
d'ardor per Dafne brucia,
ha nell'occhi lei sola
et nel pensier di prender
la virtù della ninfa;

Or ti raggiunse il divo bello et fiero
perché pïangi e preghi?
Il bello ora ti stringe,
ma solo legno e rami e foglie trova,
il albero s'è tramutata Dafne;
amor tuo or ti cinge il curato crine
e per sempre il tuo capo carezzerà.

Rosa

Citerea dea, gentil e bella,
te, nata dall'azzurro mar eterno,
generasti dal tuo rosso e vergine
ancora sangue dolce
la carminïa rosa,
ch'or abbellisce la spoglïa terra;
perchè pungesti con il tuo spin empio
il divino pïede?
Volevi forse esser divina tu anche?


Nel tuo color sì bello
v'è racchiusa la passion
de' l'amanti teneri,
piccola figlia del divin plasma,
come tüa madre säi affascinar
gli occhi de' li mortali,
con l'empi spin difendi
il tuo vergine fiore, finchè mano
recide il grazioso tan irto gambo,
col tuo profumo rapisci li nasi,
che curiosi et affascinati vengon
vicino a te, per goder
l'intensa et breve estasi,
simil a delicato tocco divin,
ch'il tuo odore provoca.


O, divina rosa, torna a decorar
la spoglia et brulla terra ch'i suoi
fiori ormai perde nella gelida
stretta d'Inverno bianco,
o, divina Venere,
nel tuo abbraccio tienmi stretto et caldo,
bacia il mio viso et la tüa rosa,
la più bella, donami.